01 Marzo 2024 Tabelle millesimali, modifica possibile anche senza unanimità

A seguito di alcune verifiche, è emerso che le tabelle millesimali in uso nel nostro condominio sono state compilate in modo errato. Come bisogna procedere per modificarle?
Ciascun partecipante al condominio detiene una quota della proprietà immobiliare commisurata all’intero valore dell’edificio, per convenzione stabilito in mille ed espresso in millesimi. Questi valori – i cosiddetti millesimi di proprietà – sono inseriti in una tabella, generalmente allegata al regolamento condominiale. La tabella millesimale è utilizzata dall’assemblea per deliberare gli argomenti all’ordine del giorno e per ripartire le spese riguardanti le parti e i servizi comuni dello stabile. La tabella millesimale è di solito formata dal costruttore in sede di frazionamento dell’edificio in base ai valori di mercato delle singole unità immobiliari. Dal tenore letterale dell’articolo 69 delle Disposizioni per l’attuazione del Codice civile si evince che «i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale possono essere rettificati o modificati all’unanimità».

La giurisprudenza
La giurisprudenza ritiene tuttavia sufficiente la maggioranza assembleare, salvo che la revisione deroghi ai criteri legali di ripartizione previsti dalla legge, dal Codice civile o dal regolamento condominiale contrattuale. È richiesta la maggioranza assembleare anche quando le tabelle siano conseguenza di un errore o «per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino». In entrambi i casi, per procedere è sufficiente la maggioranza prevista dall’articolo 1136 comma 2 del Codice civile, ossia un numero di voti pari alla maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio. La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (18477 del 9 agosto 2010), ha precisato che «ai fini dell’individuazione dei quorum richiesti per la modifica delle tabelle millesimali, fondamentale è l’indagine circa il contenuto delle stesse, non la loro inclusione in un regolamento che abbia natura contrattuale piuttosto che abbia natura deliberativa. In altri termini, occorre verificare se le tabelle siano ricognitive o derogatorie rispetto ai criteri legali individuati dal Codice civile». Ciò significa che in tutti quei casi in cui la portata dei diritti e dei doveri di partecipazione alla spesa non venga modificata e si operi solo un adeguamento matematico, per procedere con la revisione è sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio (500 millesimi).

La conferma
In anni più recenti, il Tribunale di Milano (sentenza 5094 dell’8 maggio 2017) ha confermato che «l’unanimità occorre soltanto nel caso in cui le tabelle di spesa redatte in applicazione dei criteri civilistici o convenzionali siano modificate o revisionate in senso derogatorio ai criteri legali, essendo sufficiente la sola maggioranza assembleare per l’ipotesi in cui la modifica delle precedenti tabelle di gestione venga effettuata in base a criteri di fonte legale». E quindi, se l’atto di approvazione delle tabelle millesimali sia privo di natura negoziale «anche l’atto di revisione delle stesse ha mera natura tecnica, con la conseguenza che per la sua validità in assemblea non è necessario raggiungere l’unanimità dei consensi». In ogni caso, per l’articolo 69 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile «ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell’amministratore. Questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini. L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli eventuali danni».

Chi trae vantaggio dallo sbaglio rimborsa gli altri condòmini
Come agire nei confronti dei condòmini che hanno ottenuto vantaggi dalle tabelle errate?

Nel caso in cui la tabella millesimale risulti non rispondente alla situazione reale a causa di un errore commesso in fase di compilazione, il passo successivo è capire se nel corso del tempo tale errore abbia avvantaggiato alcuni condòmini e danneggiato altri. Se ciò venisse dimostrato, l’assemblea potrebbe mettere in discussione i riparti, dopo aver riveduto e approvato una nuova tabella millesimale. Ma la questione è controversa. L’alternativa – se non si raggiungano le maggioranze per l’approvazione della nuova tabella - è la richiesta di una revisione giudiziale. Senonché per la Cassazione (sentenza 7696 dell’8 settembre 1994) la pronuncia «che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall’articolo 69 delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile, non ha natura dichiarativa ma costitutiva, avendo la stessa funzione dell’accordo raggiunto all’ unanimità dai condòmini, con la conseguenza che l’efficacia di tale sentenza, in mancanza di specifica disposizione di legge contraria, inizia a decorrere solo dal passaggio in giudicato».

Niente obbligo, è possibile fare a meno delle tabelle
È sempre obbligatorio che il condominio si doti delle tabelle millesimali?

Il condominio non necessita di tabelle millesimali e può teoricamente funzionare anche in assenza di esse. D’altra parte non esiste alcuna norma che obblighi uno stabile a dotarsi delle tabelle. Sul punto, la Corte di Cassazione (sentenza 12471 del 19 luglio 2012) ha osservato che le tabelle «(…) possono esistere (o non esistere) indipendentemente dal regolamento condominiale, posto che l’allegazione di esse al regolamento rappresenta un dato meramente formale che non muta la diversa natura intrinseca dei due atti, potendo i condòmini, in mancanza di un regolamento con annesse tabelle ai fini della ripartizione delle spese (di tutte o alcune di esse), accordarsi liberamente tra loro stabilendone i criteri, purché sia rispettata la quota di spesa posta a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva di questi, essendo il criterio di ripartizione previsto dalla legge (articolo 1123 Cc) preesistente ed indipendente dalla formazione delle tabelle (in tal senso si veda Cassazione 3 dicembre 1999 n. 13505). La tabella millesimale ha però una indubbia utilità, sicché in mancanza di accordo è possibile chiederne l’accertamento e la determinazione in via giudiziale.

Tutti i parametri da valutare per definire i coefficienti
Quali sono i parametri da utilizzare per redigere una tabella millesimale?

Non esiste una norma che specifichi come redigere la tabella millesimale. L’articolo 68 delle Disposizioni per l’attuazione del Codice civile si limita a osservare che per il calcolo «(…) non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare». Per il resto, i tecnici si basano su due circolari del ministero dei Lavori pubblici (26 marzo 1966, n. 12480 e 26 luglio 1993, n. 2945) che contengono una serie di parametri (o coefficienti correttivi). Ad ogni modo, tali indicazioni non sono obbligatorie e ciascun tecnico è libero di applicare i parametri che ritiene più opportuni, avendo cura di motivare la scelta all’atto della consegna. Per procedere al calcolo si misurano i metri quadrati calpestabili dei singoli locali dell’immobile, così da ricavare la superficie “reale” dell’immobile. Essa va moltiplicata per alcuni coefficienti di riduzione (valore massimo pari a 1), ottenendo così la superficie “virtuale”, che rappresenta la base per il calcolo dei millesimi. Tra i coefficienti di riduzione figurano: la destinazione dei singoli locali (soggiorno, camere da letto e studi hanno un coefficiente pari a 1, mentre per stanza quali bagno, cucina, ripostiglio, corridoio e le superfici accessorie come balconi e terrazze hanno un coefficiente inferiore); l’altezza del piano (gli ultimi piani sono i più pregiati, a patto che siano ben isolati e vi sia l’ascensore); l’orientamento (le esposizioni a sud-est o a sud-ovest sono le più ricercate, in quanto maggiormente esposte ai raggi del sole); la luminosità, ossia la quantità di luce che riceve l’appartamento e che è favorita dalla presenza di finestre o altre aperture; il prospetto, vale a dire “la veduta” dell’alloggio (vale di più un appartamento che si affacci su una zona verde o su una spiaggia o un lago, rispetto a un altro che dà sul cortile interno o su una strada trafficata).

Se l’assemblea non raggiunge il quorum per l’approvazione
Cosa succede se l’assemblea non raggiunge il quorum per approvare le tabelle?

Proprio come avviene con il regolamento condominiale, anche la tabella millesimale può essere di natura contrattuale, assembleare o giudiziale. La tabella contrattuale viene compilata dal costruttore dello stabile e allegata al regolamento, anch’esso contrattuale, vale a dire accettato da tutti i proprietari al momento dell’acquisto delle singole unità immobiliari.La tabella contrattuale è approvata dall’assemblea di condominio, con ciascun partecipante che ha il diritto di avanzare la richiesta all’assemblea: per l’approvazione della tabella è sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio. Infine, qualora l’assemblea non raggiunga il quorum richiesto, spetta all’autorità giudiziaria, previo sopralluogo di un perito, determinare la tabella giudiziale.

Marco Panzarella, Matteo Rezzonico
Il Sole 24 Ore

21 Settembre 2023 Le spese si dividono secondo i millesimi

L'articolo 1123, primo comma, del Codice civile stabilisce che, salvo diversa disposizione contenuta nel regolamento condominiale contrattuale (se esistente), «le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione».

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che sono nulle le delibere assembleari che adottino criteri di suddivisione delle spese diversi da quelli previsti dalla legge o dal regolamento (si veda, per tutte, Cassazione 19 febbraio 1997, n. 1511). Nello stesso senso, proprio in relazione alle spese postali, si veda Tribunale di Milano, 9 giugno 2015, n. 7103, secondo cui, attenendo alle spese di amministrazione, le spese postali sopportate dal condomìnio, anche se relative all'invio di corrispondenza ai singoli condomini, vanno ripartite tra tutti i proprietari per millesimi di proprietà.

Matteo Rezzonico
Il Sole 24 Ore

12 Settembre 2023 Amministratore legittimato passivo senza l'ok dell'assemblea

Non serve neppure ratifica se l'azione proposta da terzi riguarda le parti comuni

Una pronuncia della Corte di appello di Roma riapre il dibattito sui limiti della legittimazione passiva dell'amministratore che la Cassazione a Sezioni unite sembrava aver risolto.

Il nodo cruciale è questo: per portare il condominio in giudizio o per difenderlo quando vi è trascinato da altri, l'amministratore ha sempre bisogno di una delibera autorizzativa dell'assemblea?
A questa domanda dovrebbe rispondere l'articolo 1131 del Codice civile, che prende in esame le due diverse ipotesi di legittimazione: attiva (primo comma) e passiva (secondo comma).
Quella attiva non sembra presentare un percorso particolarmente difficoltoso perché la prima parte dell'articolo individuale materie nelle quali la legittimazione è automatica: esecuzione delle delibere e del regolamento (Cassazione, 17493/2014); disciplina dell'uso dei beni comuni (Corte d'appello di Torino, 537/2020); riscossione dei contributi; compimento degli atti conservativi (Cassazione, 4711/2022) solo per citarne alcune.

Più problematica l'individuazione dell'area di legittimazione passiva autonoma, per via della particolare formula usata nel secondo comma dell'articolo 1131: l'amministratore «può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio».
Per un primo (e maggioritario) orientamento non occorreva alcuna delibera, purché l'oggetto del giudizio riguardasse le parti comuni.

Un'altra tesi sosteneva, invece, che l'autonoma legittimazione passiva dell'amministratore potesse sussistere solo negli stessi casi della legittimazione attiva, al di fuori dei quali sarebbe stata necessaria l'autorizzazione dell'assemblea.

Il contrasto verme risolto da Cassazione, Sezioni unite 18331/2010 che, in parziale adesione alla seconda (e minoritaria) tesi indicata, aveva enunciato una soluzione di compromesso: in ogni causa promossa contro il condominio, l'amministratore può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole, specie in caso d'urgenza, per evitare decadenze processuali.
Se però l'oggetto non rientra fra quelli della sua legittimazione autonoma e non si è munito della necessaria autorizzazione, dovrà ottenere la ratifica dell'assemblea.

A mettere in dubbio l'assunto è sopraggiunta, come detto, la Corte d'appello di Roma nella pronuncia 3912/2023 relativa a una causa per darmi da allagamenti tra due condomìni attigui.
La Corte torna in pieno al maggioritario indirizzo sulla totale legittimazione passiva autonoma dell'amministratore, senza autorizzazione.
Dunque, la sua legittimazione passiva non incontrerebbe limiti allorché le domande proposte contro il condominio riguardino le parti comuni.

Giuseppe Marando​​
Il Sole 24 Ore

21 Agosto 2023 Mail ai condòmini con l’obbligo di indirizzi oscurati

Il Garante ribadisce il divieto di divulgare i dati personali

La privacy in condominio all’attenzione del Garante nella relazione annuale 2022, resa nota di recente. Le questioni condominiali sono state oggetto delle e-mail esaminate dal Servizio relazioni con il pubblico nell’1,6% dei casi, più dei data breach, la violazione dei dati, (1,2%) e dei dati biometrici (0,3%). Il Garante rileva, tuttavia, che l’aumento di istanze relative all’ambito condominiale non ha evidenziato nuovi argomenti trattati.

In primis, il Garante è intervenuto ricordando come possono formare oggetto di lecito trattamento da parte della compagine condominiale, unitariamente considerata, solamente i dati pertinenti alla determinazione dei diritti o degli oneri relativi ai beni comuni. Rimane, dunque, lecito il trattamento di dati relativi al condominio stesso (quelli relativi ai consumi collettivi) o a singoli partecipanti (dati anagrafici, indirizzi e quote millesimali). È esclusa, invece, la liceità del trattamento, ove non espressamente autorizzata, di dati ulteriori ed eccedenti la finalità di amministrazione e gestione del condominio, quali numero di telefono o indirizzi e-mail.

A proposito dell’invio, come spesso avviene, di mail tramite l’utilizzo cumulativo e in chiaro degli indirizzi di posta elettronica dei condòmini, il Garante ha precisato che, senza consenso, tale pratica non risulta conforme ai princìpi in materia di protezione dati. L’amministratore, in assenza del preventivo consenso, dovrà adottare idonei accorgimenti quali, ad esempio, la funzione «ccn», che consente di oscurare gli indirizzi mail dei destinatari.

Senza il consenso dell'interessato o in assenza di altra idonea base giuridica, chiarisce inoltre il Garante, è illegittima la comunicazione a soggetti terzi rispetto alla compagine condominiale di informazioni relative ai singoli condòmini. Parimenti vietata è la diffusione di dati personali mediante l´affissione di avvisi di mora o di sollecitazioni di pagamento in spazi condominiali aperti al pubblico. Il Garante invita gli amministratori di condominio ad adottare idonee misure atte a evitare l’indebita conoscibilità di dati relativi ai condòmini e di pubblicare, se del caso, solo avvisi di carattere generale privi di dati riferiti a soggetti identificati o identificabili.

Tema di notevole interesse resta infine l’installazione di telecamere volte alla ripresa di aree comuni. Ribaditi i principi contenuti nel vademecum «Il condominio e la privacy» del 10 ottobre 2013: previa delibera assembleare si possono installare telecamere con funzioni di videosorveglianza a condizione che si riprendano solo le aree comuni da controllare e che i dati raccolti (riprese, immagini) siano protetti con idonee e preventive misure di sicurezza e, soprattutto, siano conservati per un periodo compreso tra le 24-48 ore, salvo casi eccezionali.

Agostino Sola​
Il Sole 24 Ore

05 Settembre 2022 Il condominio non è obbligato all’eliminazione delle barriere

Ho problemi condominiali a causa delle barriere architettoniche. Sono un invalido al 100% e da più anni sto cercando di sollecitare la mia amministratrice perché provveda a dare qualcosa che porti a risolvere questo problema per me e per mia moglie molto importante. L’amministratrice risponde che, senza il consenso degli altri condomini, non si può muovere. Preciso che ho 89 anni e mia moglie ne ha 90; i 20 gradini esterni e i sei interni oggi ci pesano e non poco.
Che cosa devo fare?

La legge 13/1989 obbliga i proprietari all’eliminazione delle barriere architettoniche soloi relativamente ai nuovi edifici o ai casi di ristrutturazioni di interi edifici. Conseguentemente il lettore - pur disabile con invalidità grave - non può pretendere che il condominio installi a spese comuni servoscala o altri strumenti adatti all’eliminazione delle barriere architettoniche. La decisione, infatti, dev’essere presa dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1120, secondo comma, del Codice civile (500 millesimi e la maggioranza degli intervenuti).
Ove, tuttavia, l’assemblea non esprima parere favorevole, il condomino può inviare all’amministratore una lettera raccomandata (o una pec, posta elettronica certificata) puntualizzando che, in mancanza di installazione di dispositivi atti all’eliminazione delle barriere architettoniche, decorsi tre mesi, si riterrà libero di procedere all’installazione a proprie spese di un servoscala o altre strutture mobili o facilmente rimovibili, se del caso anche modificando l’ampiezza delle porte di accesso, per rendere più agevole l’accesso a edifici, ascensori, rampe dei garages e altro. Resta fermo che le opere non devono recare pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza del fabbricato.
In questo senso si esprime l’articolo 2, comma 2, della legge 13/1989, secondo cui, «nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del Codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensore e alle rampe dei garages».

Il Sole 24 Ore

05 Settembre 2022 Opere urgenti autorizzate dal tribunale

L’amministratore, spesso, si trova ad affrontare, in sede assembleare, la necessità di effettuare lavori straordinari, nell’interesse del condominio.
Spesso, tali lavori risultano particolarmente onerosi, con cifre a sei zeri.
Capita, pertanto, che pur a fronte della necessità che vengano eseguiti dei lavori urgenti, l’assemblea non deliberi o non riesca a deliberare, per mancanza del raggiungimento dei quorum di legge necessari. COme nel caso trattato dal Tribunale di Roma con il provvedimento pubblicato il 21 luglio 2022: l’amministratore di un condominio romano si è rivolto al giudice ex articolo 700 Codice procedura civile per farsi autorizzare l’avvio dei lavori e il giudice capitolino ha riconosciuto la necessità e l’urgenza degli stessi. Si trattava di lavori di consolidamento dell’edificio senza i quali si esponevano al pericolo i condomini e non solo. Ritenuti sussistenti i requisiti previsti dall’articolo 700 del Codice di procedura civile, il Tribunale ha autorizzato l’amministratore a dare avvio alle opere straordinarie, oltre che all’accesso nelle unità immobiliari dei condomini per porre in essere quanto considerato necessario.

Fabrizio Plagenza
Il Sole 24 Ore

05 Settembre 2022 Anche chi ha la Pec deve pagare le spese postali

Trattandoisi di oneri di gestione sono da ripartire tra tutti ed eventuali modifiche vanno decise all’unanimità.

Le spese postali in condominio rientrano tra le spese di gestione. La naturale conseguenza è che tali esborsi non possono essere addebitati ai singoli condomini, ma devono essere ripartiti tra tutti, secondo il criterio dei millesimi di proprietà, in base all’articolo 1123 del Codice civile. Così sarà per le comunicazioni relative alla convocazione dell’assemblea, per l’invio del relativo verbale, per i solleciti di pagamento delle spese condominiali e per tutte le altre comunicazioni provenienti dall’amministratore condominiale.
Questo dicono i giudici e, in particolare, la Cassazione con la sentenza 24696/2008 che riprende la 3946/94, e il Tribunale di Milano con la sentenza n. 7103 del 9 giugno 2015 che segue le orme del Tribunale di Napoli con la sentenza n. 12015 del 29 novembre 2003. Quindi, anche le spese per il sollecito di pagamento al singolo condomino andranno ripartite tra tutti i condomini e non al solo moroso. La conseguenza della errata imputazione è la nullità della relativa delibera.
Sulla scia di questo orientamento, anche chi ha la Pec dovrà pagare le spese postali: anche se l’amministratore invia via Pec le comunicazioni al condomino quest’ultimo non potrà essere esonerato dal pagamento delle spese postali ripartire tra tutti i condomini.
Va, peraltro, precisato che l’assemblea può sempre decidere un criterio di ripartizione diverso. Criterio che andrà deliberato all’unanimità dei consensi, non a maggioranza qualificata, perché si tratta di modificare un criterio di ripartizione previsto per legge dall’articolo 1123 del Codice civile. Proprio in relazione a questo, la Cassazione con la sentenza 21965/2017 ha dichiarato nulla la delibera che ha approvato a maggioranza un criterio di ripartizione delle spese postali diverso da quello legale. Unica eccezione è quando c’è una dichiarazione giudiziale di condanna al pagamento in tal senso (Cassazione, sentenza 14696/2008).
L’esempio più ricorrente è quello relativo alle spese legali: l’amministratore agisce nei confronti del condomino moroso rivolgendosi ad un avvocato, e successivamente addebita al condomino le spese legali. Un altro esempio è quello in cui il condominio addebita al singolo le spese di riparazione di un bene condominiale che si presume danneggiato da quest’ultimo.
Ebbene, la giurisprudenza ha più volte chiarito che l’assemblea condominiale non può approvare le spese personali, di natura individuale, imputandole al singolo condomino. L’assemblea ha infatti esclusivamente il potere di deliberare le spese condominiali, riguardanti il condominio e da ripartire tra i singoli secondo le tabelle millesimali e i criteri dettati dal regolamento e/o dalla legge.

Paola Pontanari
Il Sole 24 Ore

29 Agosto 2022 Non è lecito posizionare una finta fotocamera da usare come deterrente

Lo stesso discorso vale laddove il condominio ritenesse di apporre cartelli per indicare che si tratta di area videosorvegliata

Con l'entrata in vigore del Gdpr il tema sulla videosorveglianza è stato oggetto di studi e approfondimenti specifici ad opera dei garanti europei i quali, in particolare, hanno predisposto le linee guida 3/2019, pubblicate il 29 gennaio 2020 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video. Importanti sono i chiarimenti resi circa la non applicazione del Regolamento europeo e quindi delle disposizioni collegate alla normativa sul trattamento dei dati personali, quando una persona non è in alcun modo individuabile e, pertanto: «nell’ipotesi di telecamere finte (o che comunque non registrano video o immagini), in quanto non vengono elaborati dati personali (ma su questo punto devono essere approfonditi i possibili risvolti penali)».


Le Faq del garante Privacy
La questione è stata anche successivamente ripresa nelle Faq 16 del Garante Privacy, nelle quali si pone il seguente quesito: «Ci sono dei casi di videosorveglianza nei quali non si applica la normativa sul trattamento dei dati personali?» La risposta del Garante precisa che la normativa sulla protezione dei dati: «non si applica, nel caso di fotocamere false o spente perché non c’è nessun trattamento di dati personali (fermi restando tutti gli obblighi comunque imposti dall’articolo 4 Statuto dei lavoratori)».
Occorre ora domandarci se questo comporti la liceità dell’installazione di telecamere finte in ambito condominiale.Sul punto occorre considerare che, secondo il Garante, che si è espresso con provvedimento generale 29 aprile 2004 (documento web 1003484), per ciò che concerne l’installazione di telecamere finte o non funzionanti, «l'installazione meramente dimostrativa o artefatta, anche se non comporta trattamento di dati personali, può determinare forme di condizionamento nei movimenti e nei comportamenti delle persone in luoghi pubblici e privati e pertanto può essere legittimamente oggetto di contestazione».

Non vietate ma illegittime
Quindi, seppur non vietate dal Gdpr, le telecamere finte o non funzionanti sono comunque illegittime, e a dircelo è lo stesso Garante privacy. Le stesse potrebbero generare un affidamento incolpevole da parte di chi si trova nelle aree apparentemente videosorvegliate, con possibili conseguenze di responsabilità in capo al soggetto che abbia deciso di installarle. Lo stesso discorso vale laddove il condominio ritenesse di installare telecamere finte (o di non farlo) ma apponesse cartelli per indicare che si tratta di area videosorvegliata. In tale ultimo caso, il rischio di azione risarcitoria per falso affidamento è ancor più probabile, in quanto risulterebbe più semplice dimostrare la non rispondenza tra quanto addirittura scritto e quanto invece risulta.

Carlo Pikler
Il Sole 24 Ore

15 Luglio 2022 Piante di alto fusto, prevale il regolamento contrattuale

Un condominio è circondato al primo piano da terrazze/giardino di proprietà esclusiva che fungono da copertura, in parte dei box sottostanti e in parte delle corsie di manovra. Per la gestione dei giardini, il regolamento contrattuale recita: «I giardini privati di proprietà dei singoli condòmini costituiscono un elemento importante dell’immagine della casa ed in analogia alle altre parti esterne dei fabbricati devono sottostare a regole generali di condominio essi dovranno essere tenuti a piante e fiori e a prato verde con l’obbligo di curare anche le piante d’alto fusto in essi esistenti collocate dal costruttore; non sono pertanto ammessi impianti di nuovi alberi di alto fusto». Le piante sono a dimora sullo strato di terreno posto sul massetto di protezione del doppio strato di guaina bituminosa che impermeabilizza la soletta. Le radici delle piante sono riuscite ad ostruire la tubazione, collegata al pluviale, formando all'interno del tubo una matassa di radici sottilissime. È stato necessario uno scavo e la posa di un nuovo pozzetto per sostituire il tratto di tubo interrato, posato sopra al massetto. Si chiede se il proprietario del giardino sia responsabile del danno causato dalle radici delle piante e se le spese dei lavori di ripristino debbano essere poste a suo carico. Si chiede inoltre se il proprietario del giardino deve eseguire, a sua cura e spese, le opere necessarie per impedire il ripetersi del danno.


La giurisprudenza anche recente ritiene che «alle spese di potatura degli alberi, che pur insistono su suolo oggetto di proprietà esclusiva di un solo condomino, sono tenuti a contribuire tutti i condòmini allorché si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio e la potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso. Le piante di alto fusto possono formare oggetto, ad un tempo, di proprietà esclusiva e di comunione, fornendo utilità differenziate al proprietario del suolo e, ad un tempo, ai titolari delle unità immobiliari dell'edificio condominiale, in quanto componenti essenziali del decoro architettonico del fabbricato; ciò giustifica l'obbligo di contribuzione dei partecipanti al condominio alle spese di potatura» (Cassazione civile, sezione seconda, 16 ottobre 2020, n. 22573). Tuttavia, nel caso di specie il regolamento condominiale di tipo contrattuale, così definito in quesito, stabilisce espressamente che anche le piante di alto fusto esistenti nei giardini- terrazze di proprietà esclusiva devono essere curate dal singolo condomino proprietario. Posto ciò, si ritiene che anche i danni al tubo interrato provocati dalle radici delle piante siano a carico del proprietario esclusivo, così come le opere necessarie per evitare la ripetizione dell'evento.

15 Luglio 2022 Le somme anticipate dall'amministratore devono essere restituite

Non era stata prodotta la delibera ma il debito era stato messo nel rendiconto
L'amministratore "distratto" che si rivolge al giudice per ottenere la restituzione delle somme anticipate nell'interesse del condominio va soddisfatto comunque, anche qualora non produca la delibera con cui il credito era stato riconosciuto in assemblea.
È il principio che sancisce la Cassazione nell'ordinanza 21075/2022 depositata il 4 luglio.
A rivolgersi alla Suprema corte è un amministratore soccombente in primo e secondo grado adducendo tre motivi, due dei quali relativi alla violazione degli articoli 112,115 e 116 del Codice di procedura civile e 76 delle disposizioni attuative del Codice civile.
In pratica, la delibera di approvazione del rendiconto e di riconoscimento del debito, sebbene non inserita nel suo fascicolo, era stata prodotta dal condominio convenuto e pertanto non sussisteva l'onere di produrre atti già acquisiti al processo.
Motivi fondati secondo la Suprema corte che richiama più di dare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio acquisito, da qualunque parte processuale provenga.
Il verbale che dava il via libera al pagamento dei 17mila euro spettanti all'amministratore uscente per le anticipazioni effettuate era menzionato nell'indice del fascicolo di primo grado del condominio, successivamente acquisito al processo d'appello.
In sintesi, non c'erano dubbi che li collegio giudicante ne fosse a conoscenza.
Tra l'altro, faceva rilevare l'amministratore, Il verbale e il suo contenuto non erano stati oggetto di alcuna contestazione tanto più che il condominio aveva provveduto anche a effettuare rimborsi, seppur parziali.

Annarita D'Ambrosio
Il Sole 24 Ore

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